Albert O. Hirschman, economista e pensatore politico di grande finezza, ha affrontato il tema del commercio internazionale come strumento di pressione politica in modo molto originale, soprattutto nel suo libro “National Power and the Structure of Foreign Trade” (1945).
In quest’opera, Hirschman evidenzia come i rapporti commerciali tra Stati possano diventare strumenti di potere e dipendenza, piuttosto che semplici scambi economici mutuamente vantaggiosi.
Possiamo sintetizzare le idee principali di Hirschman sul tema in quattro punti basilari :
1.Asimmetria e dipendenza commerciale:
Hirschman sosteneva che quando un Paese A dipende fortemente dalle esportazioni o importazioni con un Paese B (soprattutto se non ha alternative), questa dipendenza crea una leva politica per B. In altre parole, il commercio può generare dipendenza unilaterale, e quindi diventare uno strumento di influenza politica.
2.Diversificazione come strumento di autonomia:
Secondo Hirschman, uno Stato può ridurre la propria vulnerabilità strategica diversificando i propri partner commerciali, così da non essere soggetto a ricatti o pressioni da un singolo interlocutore.
3.Il commercio come mezzo di controllo politico:
Analizzando casi storici (ad esempio il commercio nazista con l’Europa orientale), Hirschman mostrava come i regimi totalitari potessero usare il commercio per controllare politicamente altri Stati o territori, sfruttando la loro dipendenza economica.
4.Critica alla visione liberale del commercio:
A differenza della tradizione liberale che vede il commercio internazionale come veicolo di pace e cooperazione, Hirschman ne evidenzia gli aspetti conflittuali e coercitivi, soprattutto in contesti di squilibrio di potere tra le nazioni.
In sintesi Hirschman diceva che il commercio internazionale non è mai solo “economia” ma può diventare “politica” – e spesso “politica di potere”.
Le sue analisi sono ancora attuali oggi, in un mondo in cui le interdipendenze economiche (pensiamo alla Cina , alla Russia o agli USA) sono spesso usate come leva geopolitica.
Hirschman sostiene che il commercio internazionale non è mai un atto puramente economico, ma è intrinsecamente legato alla politica. Evidenzia come le nazioni possano utilizzare il commercio per influenzare gli altri Stati, creando dipendenze economiche che possono essere sfruttate politicamente.
Ad esempio, attraverso politiche tariffarie discriminatorie o accordi bilaterali, uno Stato può rendere un altro Paese economicamente dipendente, aumentando così il proprio potere politico.
Inoltre, Hirschman introduce il concetto di “complementarità esclusiva”, definendo con questo concetto il caso di due economie che sviluppano una relazione commerciale così stretta che la rottura di tale legame sarebbe economicamente dannosa per entrambe, ma soprattutto per la parte più dipendente.
Questo tipo di interdipendenza crea una leva politica significativa.
L’autore critica anche l’idea che il commercio possa essere separato dalla politica, sottolineando che ogni accordo commerciale ha implicazioni politiche e che le nazioni devono essere consapevoli di queste dinamiche per evitare di diventare vulnerabili a pressioni esterne.
Una delle citazioni più significative di Hirschman in questo contesto è:
“Il commercio internazionale può essere trasformato in uno strumento di potere, di pressione e persino di conquista.”
Questa affermazione evidenzia la sua convinzione che le relazioni commerciali siano strumenti potenti nelle mani degli Stati, capaci di influenzare gli equilibri politici internazionali.
Il concetto di “complementarità esclusiva” elaborato da Albert O. Hirschman in National Power and the Structure of Foreign Trade (1945) è centrale per comprendere come il commercio possa trasformarsi in uno strumento di potere politico.
Hirschman usa questo concetto per descrivere una relazione commerciale in cui:
• Due Paesi sono economicamente complementari, cioè uno fornisce beni o servizi di cui l’altro ha bisogno e viceversa.
• Tuttavia, uno dei due ha alternative (diversificazione), l’altro no.
• Questo rende il Paese più dipendente politicamente vulnerabile.
In altre parole:
La complementarità esclusiva si verifica quando un Paese ha strutturato i propri scambi commerciali in modo tale da dipendere pesantemente da un solo partner, mentre quest’ultimo ha molte più alternative.
Il concetto di complementarità esclusiva è un avvertimento strategico: se uno Stato dipende da pochi partner, rischia che il commercio si trasformi in un vincolo politico o una forma di ricatto economico.
Hirschman descrive inoltre la “complementarità esclusiva” come una strategia mediante la quale un paese induce un altro a specializzarsi in settori produttivi che lo rendono altamente dipendente, limitando le sue possibilità di diversificazione commerciale. Questo si ottiene attraverso incentivi economici, come trattamenti preferenziali, che spingono il partner a concentrarsi su determinati beni o servizi. Tale dipendenza rende difficile per il paese influenzato deviare i propri scambi verso altri mercati più competitivi .
Nella sua analisi Hirschman critica il pensiero moderno soprattutto classico e neoclassico per aver espulso il concetto di potere dall’analisi del commercio estero definendo questo approccio pericolosamente miope soprattutto alla luce degli eventi bellici e delle pratiche economiche aggressive del XX secolo (es Germania nazista). Serve dunque recuperare una visione strategica del commercio, non per abbracciare il mercantilismo, ma per comprendere i rischi dell’interdipendenza asimmetrica.
Il commercio estero può essere deliberatamente manipolato per creare dipendenza economica e trasformarla in influenza politica.
Questa forma di potere è non militare, ma estremamente efficace. È una “arma silenziosa” che agisce attraverso incentivi economici, minacce di interruzione commerciale, o offerte di accesso preferenziale al mercato.
Esaminiamo ora alcuni aspetti rilevanti dell’analisi di Hirschman
- Creazione della dipendenza
Uno Stato potente può costruire una relazione commerciale in cui l’altro Paese:
• ha pochi mercati alternativi per le sue esportazioni;
• dipende fortemente da quel mercato per beni essenziali;
• non può sostituire facilmente quel flusso senza costi elevati.
Esempio: Se un Paese A importa quasi tutto il petrolio da un solo Paese B, quest’ultimo può usarlo per influenzarne la politica estera.
- Asimmetria nell’interdipendenza
L’interdipendenza non è sempre reciproca:
• Uno Stato può resistere facilmente a un’interruzione commerciale;
• L’altro può essere gravemente danneggiato.
L’interdipendenza commerciale può quindi nascondere una forma di dominio.
- Strumenti pratici del potere commerciale
Hirschman elenca le tecniche principali usate per esercitare potere tramite il commercio:
• Minaccia di embargo o boicottaggio: es. interrompere l’acquisto di un bene vitale.
• Preferenze commerciali: concessioni su dazi o accesso privilegiato a mercati.
• Manipolazione del credito estero: offrire o rifiutare prestiti legati all’interscambio.
• Gestione selettiva dei flussi: favorire alcuni Paesi per influenzarne la politica interna o estera.
Caso storico: la Germania nazista
Hirschman dedica una parte centrale del capitolo all’analisi della strategia economica della Germania hitleriana negli anni ’30 e in sintesi afferma che
• La Germania costruì un sistema di accordi bilaterali con i Paesi dell’Europa orientale e balcanica.
• I Paesi dipendevano fortemente dalla Germania per le esportazioni (grano, materie prime).
• Berlino usava la sua posizione per bloccare alternative commerciali e ottenere concessioni politiche (ad esempio, pressione su politiche estere, preferenze per imprese tedesche, allineamento ideologico).
Hirschman mostra come la Germania abbia usato il commercio non per efficienza, ma come strumento geopolitico di espansione e dominio.
- Le implicazioni normative
Hirschman mette in guardia contro l’ingenuità delle teorie del libero commercio che trascurano questo uso strategico del commercio.
Il commercio non è sempre pacificatore: può anche essere un mezzo di coercizione economica, una forma sottile di imperialismo.
- Anticipa l’idea moderna di interdipendenza asimmetrica (ripresa da studiosi come Keohane e Nye).
- Sottolinea che la politica commerciale è anche politica estera.
- Pone le basi per un’analisi realistica delle relazioni economiche internazionali.
La capacità di esercitare potere attraverso il commercio dipende non solo dalla forza economica assoluta, ma anche dalla struttura e direzionalità degli scambi, e dalla mancanza di alternative del partner debole.
L’autore esamina poi il concetto di “aggressione economica” per capire se e in che modo pratiche commerciali apparentemente pacifiche possano avere intenzionalità offensive comparabili a quelle militari.
Hirschman si concentra in particolare sul comportamento della Germania imperiale verso i suoi partner commerciali e sulle percezioni britanniche e francesi di tali pratiche come forme di minaccia o coercizione.
Vediamo quindi in sintesi :
- Il concetto di “aggressione economica”
Hirschman si chiede:
Quando un’espansione commerciale può essere considerata “aggressione”?
Evidenzia tre situazioni in cui l’attività commerciale assume un carattere ostile:
• Quando è volta a eliminare alternative per il partner commerciale (es. mercati chiusi).
• Quando è direttamente legata a pressioni politiche.
• Quando comporta condizioni svantaggiose per il partner, imposte unilateralmente.
L’aggressione economica, secondo Hirschman, non è definita solo dall’atto economico, ma dal suo intento politico-strategico e dagli effetti di dipendenza o destabilizzazione.
- Il caso della Germania prima del 1914
Hirschman analizza l’espansione commerciale tedesca, che suscitò allarme in altri Paesi.
Gli elementi principali:
a. Costruzione di infrastrutture a scopo strategico
• Il più emblematico: ferrovia Berlino–Bagdad, percepita come minaccia geo-economica da Francia e Gran Bretagna.
• L’accesso tedesco al Medio Oriente poteva alterare l’equilibrio di potere, anche in senso militare.
b. Accordi bilaterali squilibrati
• La Germania firmava trattati commerciali che creavano dipendenza nei confronti dei suoi beni industriali e delle sue esportazioni.
• La politica era spesso sostenuta da banche e capitali pubblici tedeschi.
c. Dumping e concorrenza sleale
• La Germania vendeva a prezzi molto bassi (spesso sotto costo) per penetrare i mercati altrui e marginalizzare i produttori locali.
Queste azioni venivano percepite (soprattutto nel mondo anglosassone) come manifestazioni di un piano strategico di espansione egemonica.
- Il dibattito tra commercio e guerra
Hirschman riporta le visioni contrapposte tra chi:
• Vedeva il commercio come strumento di pace e mutuo beneficio;
• E chi lo vedeva come continuazione della guerra con altri mezzi (soprattutto nella politica tedesca prebellica).
La questione è se il commercio può anticipare un conflitto militare, o essere usato per evitarlo creando egemonie “morbide”.
Questa la riflessione critica di Hirschman
• Il confine tra penetrazione economica e aggressione è labile: spesso, un comportamento commerciale aggressivo viene giustificato come semplice “competizione”.
• Tuttavia, quando la penetrazione commerciale è sostenuta da interventi statali sistematici, e produce effetti politici coercitivi o destabilizzanti, essa può a buon diritto essere letta come aggressione mascherata.
Hirschman invita quindi a superare la visione neutrale del commercio e riconoscere la sua potenzialità strategica, offensiva o difensiva, in funzione del contesto e degli obiettivi.
Hirschman non condanna il commercio internazionale in sé, ma mostra che il modo in cui esso è organizzato e perseguito può rafforzare o minare la pace e che vanno sempre analizzate le intnzioni politiche che accompagnano le politiche commerciali . Il commercio infatti può essere un mezzo di potere nazionale, e non solo uno scambio economico neutro.